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16 settembre 2015

MyNewGreatStory: Inside Out: Un'Altalena di Emozioni



“Bisogna spingerli verso quella vita forte 
che porta con sé sofferenze e gioie, 
ma che, sola, conta qualche cosa.”
(Volo di notte, Antoine de Saint-Exupéry, 1931)


Dopo il grande successo di “Monsters, inc.” (2001) e “Up” (2009), Pete Docter assieme al co-regista Ronnie Del Carmen torna sugli schermi con un film davvero incredibile ed emotivamente importante, “Inside Out”, in anteprima alla 68° mostra di Cannes e dal 16 settembre nei cinema italiani. Il film narra della storia di una famiglia del Minnesota costretta a trasferirsi in California, precisamente a San Francisco alla ricerca di nuove possibilità lavorative sulla West Coast. A farne le spese è la piccola Riley, bimba di 11 anni, gioiosa della vita che da quel giorno in poi inizia a perdere le sue piccole sicurezze nel momento più importante della sua vita: l’inizio dell’adolescenza.






Pete Docter e il suo Team
Questo evolversi emotivo viene raccontato all’interno del quartier generale della sua mente abitato da 5 solide e colorate emozioni quali: Gioia (la leggerezza di una stella, il giallo luminescente), Rabbia (un cubetto di carbone spigoloso, il rosso acceso), Disgusto (un broccolo appuntito, il verde acido), Paura (un nervo scoperto a zig-zag, il viola melanzana) e Tristezza (una goccia piangente, il turchese). 








Gli stati emotivi sono animati da una loro grande personalità che si intreccia l’un con l’altra. Ogni ricordo di Riley è collegato ad una sfera colorata di quell’emozione provata che viene incasellata all’interno a grandi librerie della memoria. Al centro del quartier generale vi sono i ricordi base custoditi all’interno di uno scrigno e vicino ad esso vi è una consolle dei comandi azionata dalle emozioni ed un proiettore che può mostrare i vari ricordi. 








Col passare del tempo questa consolle si evolve con l’evoluzione della bambina. Ogni ricordo base alimenta la personalità di Riley che viene idealizzato con “isole mentali della personalità” come l’isola dell’hockey, il suo sport preferito, l’isola dell’amicizia, l’isola della famiglia, l’isola dell’onestà, l’isola della stupidera. Gioia unisce l’intero gruppo, essendo l’emozione iniziale in ognuno di noi. Questo equilibrio mentale viene spezzato dal trasloco e dalle mani di Tristezza che inizia spostare alcune sfere dei ricordi base, combinando scompiglio all’interno della mente. Da questo momento inizia l’avventura di Gioia e Tristezza all’interno delle isole della personalità, lasciando il quartier generale in mano solo alle altre tre emozioni incapaci di gestire la mente. 





Per narrare questa storia Docter ha raccontato la propria storia personale, di figlio che da Bloomington, Minnesota, si trasferisce in California con i genitori musicisti, unita all’inizio dell’adolescenza della figlia, come racconta: “Ero alla ricerca di nuove idee dopo “Up”. A quel tempo mia figlia aveva 11 anni ed era entrata nella fase adolescenziale. Passò dall’essere una bambina piena di energia al non voler più ascoltarci, ma soprattutto ad essere maleducata col resto della famiglia. Mi chiedevo cosa stesse succedendo nella sua testa. Da qui iniziò l’idea di immaginare i personaggi basati sulle emozioni.” 





Il team Pixar ha lavorato alacremente assieme ai consigli del Brain Trust, capeggiato da Lasseter e Catmull, per ben 4 anni per scrivere l’intero plot, ma soprattutto per sviluppare l’architettura della mente e l’evoluzione dei problemi personali in Riley. Le “isole della personalità”, nonché “i campi delle nuove idee da coltivare”, sono state la cosa più complessa da realizzare perché contribuiscono a sviluppare la parte emotiva del film in quanto influenzano gli eventi “dentro e fuori” Riley. La vita è una sorta di equilibrio di emozioni, ma soprattutto un’oscillazione di Gioia e di Tristezza, in cui si intrecciano Rabbia, Paura e Disgusto, immerse di concentrazioni e di accentuazioni mentali, in un itinerario emotivo sempre in divenire. La vita di Riley affronta sia un trasloco fisico che emotivo perché perde ogni sicurezza con se stessa, non sentendosi pronta al cambiamento, preparandosi a diventare adulta, affrontando così la complessità della vita.











Docter e Del Carmen si sono avvalsi di psicologi, neurologi e psichiatri per costruire i personaggi e per addentrarsi in un mondo tutto da scoprire quale è la mente umana. Paul Ekman, supervisore per questo film, teorico del facial-coding (micro-espressioni facciali) cui è stata tratta la serie “Lie To Me” (2009-2011), li ha aiutati a caratterizzare le diverse espressioni facciali umane in un insieme di 6 emozioni, poi ridotte a 5 da Docter; Sorpresa infatti è stata accorpata a Paura perché molto simile. Così il prof. Keltner, psicologo della University of California di Berkley li aiutò sotto l’aspetto chiave del film, incentrare il film su Tristezza, perché “la Tristezza è un’emozione che rafforza i rapporti”

Sigla della serie Tv "Lie To Me"
Come racconta Docter: “Le nostre emozioni influenzano la nostra vita sociale, ma soprattutto nelle relazioni interpersonali e grazie a ciò siamo riusciti a far interagire i personaggi. Le emozioni infatti non assomigliano ad esseri umani, ma ad ogni tipo di energia, a “ciò che sentiamo” infatti ogni emozione rilascia un’alone colorato che li enfatizza ancora di più in maniera differente l’un all’altra. Questa storia ha richiesto un sacco di fantasia e colore. Ralph Eggleston, production designer del film racconta che: “Ci siamo basati sulla parola “elettro-chimica” per la caratterizzazione dei personaggi. Dovevamo pensare a personaggi legati all’energia, eccitabili dall’energia. Ogni emozione doveva essere incandescente, con qualità effervescenti, raccolte di energia di vario tipo per ogni carattere.”

Ralph Eggleston
“Il linguaggio di questo film è basato sul colore”, come racconta Jonas Rivera, il produttore del film, “Ralph Eggleston ha avuto questa grande idea che l'interno del mondo mentale doveva essere molto saturo ed audace. Così i colori dei ricordi e dei personaggi rappresentano l’essere audaci e brillanti. Il mondo esterno è più monocromatico, ma troviamo il colore più acceso all’interno del mondo di Riley. È come l’attrazione Disney “It’s a small world” che incontra l’Apple Store. Volevamo far sentire di essere dentro la mente di un bambino, con un tocco di stravaganza da un lato e dall’altro precisa.”


all'interno dell'Apple Store 5th Avenue
all'interno di "It's a Small World"
Il design del film è una riflessione sul periodo degli anni ’50 americano in stile Broadway, caricaturizzando il design e lo stile del movimento, periodo storico che Docter aveva già adottato nei suoi due film precedenti, facendone la sua poetica, facendo parlare cerchi e quadrati. Sono stati analizzati persino i 7 nani, avendo ognuno un’analogia ben distinta con una forte caratterizzazione; ma soprattutto la cartoon-izzazione è arrivata dallo studio degli episodi animati di Tex Avery e Chuck Jones e della serie tv “The Muppets”. Ma a parer mio vi sono ispirazioni anche della serie televisiva francese “Il était une fois... la Vie” (Siamo fatti così) (1986) di Albert Barillé dedicata proprio al funzionamento del corpo umano.

Model Sheet dei 7 nani
Droopy di Tex Avery
Chuck Jones
Jim Henson e i Muppet
"Siamo fatti così"
Ad amalgamare il tutto vi è la colonna sonora scritta dal compositore più emotivo della Pixar, Michael Giacchino, già al secondo lavoro con Pete Docter dopo “Up”. Egli costruisce una composizione molto emotiva ed intima, melodie nebulose e commistioni di suoni di vetri e soffi che mappano l’intero film con 70 elementi di orchestra, un organo, chitarre e batteria passando da uno stile jazz anni ’30 all’horror classico all’interno del subconscio. Come racconta Giacchino: “Pete [Docter] voleva che la musica si dovesse percepire come se fosse uscita dai pensieri interni di Riley. Si doveva creare dunque qualche cosa di “atmosferico”. Qualcosa che non era la classica colonna sonora tradizionale. Dovevamo far trasparire l’emotività e volevo che la musica potesse mostrare il sentimento.”


“Inside Out” è un susseguirsi di gag e momenti di estrema commozione, dalle singole emozioni alle commistioni colorate, dall’avventura sul “treno del pensiero”, all’incontro del personaggio immaginario dei sogni, Bing Bong, un animale di zucchero filato, un misto tra un cane ed un elefante che canticchia una canzoncina che ti entra in testa fin da subito; alla fabbrica dei sogni, “DreamLand” cioè all’interno degli studi cinematografici per capire come vengono costruiti i sogni, con un richiamo alla Dreamworks; alla trasformazione di Gioia, Tristezza e Bing Bong nella “stanza del pensiero astratto” da personaggi 3D a forme 2D di Picassiana memoria; al clown assassino dell’inconscio che ci ricorda i film della serie “Stephen King’s It” (1990), fino ad arrivare ai titoli di coda dove si riesce persino ad osservare le emozioni di un gatto. 















Il cinema di Docter, in particolare questo film, è un viaggio di formazione dell’immaginazione, un “cinema mentale ed emotivo” come direbbe Italo Calvino, un processo artistico che è simile a quello della pratica psicoanalitica, che cerca di integrare e di tessere connessioni tra ciò che vediamo e ciò che pensiamo tipico delle menti creative che vi sono in Pixar con conoscenza, capacità espressiva e crescita individuale. 




Docter ci vuole immergere a tutto tondo nella mente spiegando tutto il suo funzionamento e la parte emotiva in azione in maniera credibile, semplice e funzionale. Ma non solo, ci vuole anche insegnare ciò che veramente siamo grazie all’immaginazione, “una pedagogia dell’immaginazione”, proprio partendo da noi stessi e da ciò che proviamo con noi stessi e con chi ci circonda. Questo grande centro nevralgico, che è la mente, è connesso alle nostre emozioni in maniera efficiente proprio come una start up o una azienda creativa come la Pixar, che è partita dal nulla e si è espansa portando sempre evoluzione e progresso in ciò che realizza. La mente umana è dunque idealizzata come una macchina che risponde a regole ben precise quasi a ricordare i disegni del medico tedesco Fritz Kahn (1888-1968), che disegnò l’interno della mente come una macchina perfetta e come luogo di sentimenti visualizzati nel recente libro “Fritz Kahn – Man Machine” (2009) edito da Taschen.




Disegno di Fritz Kahn
Persino la Disney provò a visualizzare l’interno della mente umana con un cortometraggio propagandistico della seconda guerra mondiale dal titolo “Reason and emotion” (1943) di Bill Roberts, interessante non tanto per il messaggio politico, ma per come venne illustrata la duplice natura del processo decisionale umano. La mente è infatti ritratta come due persone che lottano per il controllo, un ragioniere in giacca e cravatta ed un uomo delle caverne. 





Credo che la Pixar con questo film si sia superata sotto il profilo della narrazione, costruendo un vero e proprio saggio sul mondo più intimo che l’uomo possiede: la sua mente e la sua emotività durante la sua crescita ed evoluzione con se e con gli altri, dal di dentro (In-side) e dal di fuori (Out-side).


Le emozioni ci connettono con le persone ed è questa la cosa più importante della vita. Anche se ogni giorno abbiamo dei cortocircuiti che non ci permettono sempre di gioire di ciò che abbiamo, non dobbiamo mai demordere al raggiungimento della felicità con noi stessi. Gioia e Tristezza sono i due poli di questa storia e della nostra vita. Essi lavorano insieme ogni giorno per equilibrare su di un’altalena le nostre azioni quotidiane, dando forma ad una malinconica nostalgia di ciò che abbiamo vissuto e di ciò che tutti i giorni siamo spinti a vivere.

Tristezza e Gioia in un disegno di Pete Docter
©Le immagini sono di proprietà Disney-Pixar. Tutti i diritti riservati